giovedì 25 novembre 2010

Storie di treni

Non lo so quando mi sono accorto di lui.. quando ha aiutato quell'extracomunitaria con le valigie per il cambio del treno o quando me lo sono ritrovato di fronte, seduto, nel mio stesso vagone.
Nei capelli conservava ancora un pò del vento ghiacciato della mattina, la frescura mattutina gli si era annidata tutta nei boccoli miele che gli ricadevano, perfettamente annodati l'uno con l'altro, sulla fronte mentre, sulla nuca, la diligenza delle curve ingobbite dei capelli diventavano gradualmente più nebulose, disordinate, con riccioli spumeggianti, sparuti, nervosi, che gli rendevano la curva della nuca ancora più sinuosa: un solco verticale in cui si sarebbe potuto raccogliere un rigagnolo d'acqua... un rivolo di pioggia.
I calzini erano stranamente bianchi, ammiccavano da sotto l'orlo di un jeans nuovo dal rumore ancora di carta: affondavano assieme ad un piede sinuoso nella conca delle scarpe, un anfratto in cui essi sembravano perdersi come una frotta di nuvole sbiancate. Uno zaino gualcito alla sua destra con un marchio sfilacciato. Lo sguardo era perso nel vuoto, sembrava un'eco di quella sfilacciatura accaduta lì, su quella sacca, come una cicatrice, una propaggine di tempo che si continua da chissà dove e va a morire sul finestrino di quel treno alle 7 del mattino. La bellezza va colta nello sguardo non-cosciente di chi la detiene, essa è silente, una biscia che non fa rumore e serpeggia come un boccolo sulla fronte. Essa è mutevole, duttile e si stempera laddove una semplice vibrazione, un lucore naturale, uno spettro, da improvviso diventa consapevole. Bellezza è cio che, costitutivamente, nell'essere tale dimentica se stessa.

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