Il fervore di Christian Lacroix con le sue trame di pizzo al profumo di Spagna, l'austerità di Alexander McQueen con la sua mitologia personalissima fatta di bambole e creature evanescenti, la grazia eburnea di Riccardo Tisci per Givenchy con le sue suggestioni immacolate e le sue spose profilate di lacca rossa... la FW di Marchesa sembra una terra di mezzo chiusa tra quattro pareti su cui le storie degli altri si condensano raggrumandosi in un racconto che è quasi una celebrazione. La sposa si asciuga, un velo di trine e ricami come lingue di fuoco bruciano il candore in un rogo: è neve depositata, dura, bruciata prima di darle il tempo di sciogliersi. E quando la nebbia stopposa, bianca, si tarla di nero il candore diventa una vedovanza commossa, quelle delle vergine addolorate su cui, con un feticismo latente, mai raccontato, si conficcavano spille ed ex voto ad ampliare il racconto. Un delizioso sincretismo di idee e identità che lascia comunque poco spazio ad una narrazione personale... ad un'originalità estremamente necessaria. Perché alla fin fine c'è qualcuno che sa cosa cosa sia effettivamente Marchesa? Un 7 e mezzo per miracolo avvenuto.
la principessa Leila ringrazia
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