martedì 19 aprile 2011

Storie: una qualsiasi bella signora.

Il treno è un luogo di incontri.
Inevitabilmente quando un libro non trattiene più la tua attenzione essa si rapprende convulsamente nelle vite degli altri.
"Mancano ancora tre fermate prima che salga la tipa col mento sfuggente che va in piscina ogni mattina. Spero non scelga il posto di fronte a me, non saprei non fissarle quel mento ritratto e non immaginare per lei una mentoplastica correttiva che possa restituirle, come di diritto, una qualche rappresentabilità".
"Il gruppo di ragazzini dello scientifico fagociterà questo posto non appena qualcuno, fermato il treno, aprirà quelle porte e, come sempre, daranno il via ad uno sputtanamento vicendevole di madri e sorelle con storie di casalinghe pruriginose al limite col circense".
Per due soldi scopri il lavoro del tipo in giacca di velluto rasato verde bottiglia con pantaloni jeans appena stirati e profumati d'appretto e borsa 24 ore di vitello caramello consumato... o immagina come mai un libro di Yukio Mishima sia finito nelle mani di quella signora compassata con le lunettes dorate abbassate sulla punta violacea del naso (inevitabilmente le chiedo cosa ne pensa avendolo letto pochi mesi prima tradendo puntualmente la mia necessità di attaccar bottone per lenire le attese).
E tra le storie di frotte di extracomunitari che come spole albergano furtivamente i treni, senza licenza, e i racconti degli anziani che divertiti regalano pezzi di vita mantecata c'è sempre quell'orma sulla sabbia che per te è come fissata nel cemento, un passo colto con la coda dell'occhio che ha il peso di un'eternità.
Dovevo prendere quel treno, perderlo avrebbe significato un'attesa di mezz'ora nel marasma sferragliante della stazione. Come sempre in ritardo fendevo con una corsa affannata lo spessore denso e rarefatto dell'afa dell'una: il treno fortunatamente non era ancora partito.
Saliti quella manciata di gradini avevo cercato un posto arieggiato che desse possibilmente su un finestrino che, alla bisogna, avrei potuto oscurare con quel paio di tende arancioni impolverate (anche perchè più che di treni parliamo di littorine: sudice, sgarbate, rumorose come una macchina per il carotaggio ma profondamente poetiche). Avevo appena rilassato i miei muscoli contratti in un ossigenamento veloce e disteso che la vidi per la prima volta, di spalle, poggiare la sua borsa pochi posti più in la.
Era una signora garbata e defilata, una bellezza nobile nata da due occhi nerissimi e lanceolati: due foglie di ulivo secolare spuntate dal tronco sbozzato del suo ovale leggermente quadrato. Come su una corteccia d'albero una ragnatela di rughe, profonde sulle punte acuminate degli occhi, si frantumavano sulla pelle sottile del viso in una falla generata sotto le virgole folte e brune delle sue sopracciglia.
Le vedevo la nuca. La sua testa pesante, cavallina, sembrava poggiata in bilico sull'atlante, esposta come su un trespolo in cima alla colonna che sul collo diventava il fusto eburneo di una candela arsa che aveva sedimentato la sua cera molle in due giovani gambe segnate, sul ginocchio, dall'orlo di una gonna spenta in un meraviglioso oltremare. La sua esile presenza gettava su un paio di stringate deliziosamente maschili un'ombriciattola azzurrognola mossa, lieve.
Aveva appena raccolto le sue ciocche sparse con un paio di dita nodose in un fermaglio di corno fermato con uno scatto sulla nuca che, con una lieve rotazione, ritagliando un profilo nell'aria, mi aveva regalato un suo segreto: la linea spezzata del suo collo, un pomo d'Adamo nascosto tra le pieghe della pelle come una pinna di squalo in una conca d'acqua. Un pomo d'Adamo che andava su e giù e si liberava in una tensione non calcolata del corpo. Nessuno poteva immaginare il suo segreto fragile (che ora era compresso come un angiporto tra me e lei in un rumoroso vagone), nessuno poteva sapere che tutta la sua libertà fosse frutto di un nascondimento, di una virilità consumata in un tempo precedente e lontano e che ora rimaneva come uno scampolo, uno scarto di produzione, atrofizzata in una piega del collo.
Era diventata ormai una meravigliosa donna qualsiasi al riparo dei pregiudizi bruschi della gente comune, venuta a galla come un corpo leggero liberatosi da una costrizione.
Nobile ed anonima apriva un libro lasciato a metà e mi rubava un sorriso.
Ero profondamente felice.

3 commenti:

  1. Non c'è dubbio che osservare l'altro dinanzi a noi è arte nobile, arricchente, che del resto poco ne avanza quando tutto sarà finito...

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  2. Grazie.
    Mi hai trascinato sul sedile accanto al tuo.

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