Sempre molto defilata, nascosta come un bottone dietro un'asola, si metteva al riparo dal trambusto giornaliero sulla porta, con una sedia, la sera.
Non mi accorsi mai di quell'ovale picassiano su cui s'erano impiantati, come due rampicanti, due occhi profondi, scavati, su cui si gettavano i riverberi di una tinta bionda vecchia di almeno un mese.
E' così lei, le spalle strette, il busto in avanti ed il gomito poggiato sulla gamba accavallata, la destra, mentre fuma una sigaretta sprofondata in una sedia di plastica, in un tuorlo di luce gialla gettata da un lampione sulla sua casa, quella all'angolo della strada. Saluta con un cenno della testa, schivo, un movimento che sembra nato solo per ammannire una ciocca scomposta e non per salutare un passante... mentre lo sguardo è cieco, genuflesso, opaco.
Sembra essere stata partorita lì, di passaggio, sull'uscio della sua casa, arrampicata come un corvo, di una bellezza castigata liberata solo nei figli, un impasto di ossa e muscoli meraviglioso, in un'eredità naturale vicina all'effetto che regala un marmo appena sbozzato, un non finito, un privilegio di cui si leggono ormai tutte le forme.
La immagino preparare con le sue mani brulle, piccole e nodose, il cesto di frutta che i nipoti ci porteranno. Un campanello che suona "Da parte della nonna... un pò di frutta". Lei è li poggiata sulla porta, scosta due vasi sul balcone, in un'umanità rimastale accanto forse tutta la vita, anche in quel momento, quando con gesto veloce, di compartecipazione, coglie il saluto con un sorriso timido ricacciato prontamente negli occhi e rifiuta il ringraziamento. Perchè noi veniamo da lontano, quello non è il nostro posto, viviamo la tranquillità scomposta della lontananza da casa... che spesso s'accorcia con un dono.
Non mi accorsi mai di quell'ovale picassiano su cui s'erano impiantati, come due rampicanti, due occhi profondi, scavati, su cui si gettavano i riverberi di una tinta bionda vecchia di almeno un mese.
E' così lei, le spalle strette, il busto in avanti ed il gomito poggiato sulla gamba accavallata, la destra, mentre fuma una sigaretta sprofondata in una sedia di plastica, in un tuorlo di luce gialla gettata da un lampione sulla sua casa, quella all'angolo della strada. Saluta con un cenno della testa, schivo, un movimento che sembra nato solo per ammannire una ciocca scomposta e non per salutare un passante... mentre lo sguardo è cieco, genuflesso, opaco.
Sembra essere stata partorita lì, di passaggio, sull'uscio della sua casa, arrampicata come un corvo, di una bellezza castigata liberata solo nei figli, un impasto di ossa e muscoli meraviglioso, in un'eredità naturale vicina all'effetto che regala un marmo appena sbozzato, un non finito, un privilegio di cui si leggono ormai tutte le forme.
La immagino preparare con le sue mani brulle, piccole e nodose, il cesto di frutta che i nipoti ci porteranno. Un campanello che suona "Da parte della nonna... un pò di frutta". Lei è li poggiata sulla porta, scosta due vasi sul balcone, in un'umanità rimastale accanto forse tutta la vita, anche in quel momento, quando con gesto veloce, di compartecipazione, coglie il saluto con un sorriso timido ricacciato prontamente negli occhi e rifiuta il ringraziamento. Perchè noi veniamo da lontano, quello non è il nostro posto, viviamo la tranquillità scomposta della lontananza da casa... che spesso s'accorcia con un dono.
Nessun commento:
Posta un commento