Più di dieci anni fa noi già la chiamavamo Cenere. S'è riversata fin da subito come una piena tra le piantine di pomodoro, gli alberi di mandorlo, il pesco, mentre mio padre con lo scheletro dinoccolato di una bicicletta senza ruota praticava dei tagli lievi alla terra, dei graffi guariti con una fila di piante poste una dietro l'altra come punti di sutura. Mio padre vuole bene alla sua terra. Ogni giorno da primavera a primavera, passando per le estati, gli autunni e gli inverni, disegna la sua giornata, fino al tramonto, come un gesso su una lavagna, in quel posto... una tela di ragno che raccoglie tutte le sue ore. I suoi gesti si riconcorrono come eco di una parola pronunciata in un anfratto di tempo ormai lontano, negli anni... suona come una cantilena che si dipana per tutta la pianura. E' la casa di mio padre... quando torna per pranzo o per cena si porta dietro l'odore della terra, il sudore fermo del tramonto disossato quando l'aria si alza e la pelle umida s'arriccia del fresco della sera, come un ragno pronto a ritornare nella sua ragnatela il giorno dopo.
Mi chiede sempre: "Che albero è questo?"
Tento. "Pesco papà? Albicocco? Ciliegio? Un albero di prugne?"
"No. Il nostro noce".
Esiste una parte della mia famiglia chiamata terra, albero, noce... che non conosco.
Emozionante, vero.
RispondiEliminaIo vengo da un paesino dove tutto ciò che hai descritto è all’ordine del giorno e delle cose. Le sensazioni e quei punti di sutura...
Grazie. Davvero molto bello.
Angelo
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