La monaca di Monza ha aperto un convento sulla linea gialla della metropolitana di Parigi: un pò di pane e un pò di Pater Noster, proporzioni da clausura per l'inverno rigido ed una serie di stratificazioni e lunghezze diverse la nuove regola monastica. Di notte sgattaiola fuori dal convento, ha addosso una cappa e un passamontagna, ai piedi stivali con arricciatura a fisarmonica: baratta il suo tempo notturno con una passeggiata immaginaria per le vie della città. Frusciante, è raccolta in un capospalla croccante scandito da inserti geometrici di pelle, si infila nei vicoli e, fagocitata dal buio, ricompare come una saetta col suo moto luminoso e fulmineo sull'orizzonte umidiccio, colloso, di uno scorcio di tenebra cittadina, sotto un lampione, pesante, poggiandosi ad un muro con una mano felpata dentro un guanto antracite che sale oltre il gomito e si apre in una corolla... poi sparisce nuovamente. Ma è sempre li che si ritrova al mattino, nella sua cella di cemento rappreso nell'aria consumata dalle sorelle appena sveglie, infila il suo copricapo di pelliccia (un collare che le incornicia il volto come una sfinge) sui suoi colori spenti... grigio, nero, blu notte incenerito... la sua giacca dalle spalle rotonde che disegnano due absidi appuntite sul perimetro delle sue spalle nascoste per poi rifugiarsi , in silenzio, in una moderna e personalissima preghiera. Un 8.
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